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Il linguaggio puro
dell'arte

Benedetto Croce asseriva che arte e linguaggio si identificano… Nell’arte possiamo vedere la stretta correlazione tra immagine- parola- idea, come se il procedimento grafico fosse il tentativo di tradurre una manifestazione mentale. Questo atto primitivo ha accompagnato il cammino dell’umanità, ha organizzato un mondo dove interagire e relazionarsi. Nella comunicazione visiva il senso del “primitivo” assurge la valenza concettuale dell’indefinibile. Si tratta di nessi , relazioni che non possono essere introdotti con la mera ragione, in quanto appartengono ad una dimensione inconscia e fortemente simbolica. L’uomo è partito da una traduzione simultanea del proprio immaginario, dove più diretta e immediata è stata la codificazione del pensiero, più efficace è stata la sua leggibilità. Il nostro linguaggio è sorto attraverso un’attività grafica spontanea, dove la codificazione del mondo esterno ha sviluppato grafismi stereotipati, identici, meccanici… Ogni immagine è parola! ogni parola con la ripetizione è divenuta associazione di una forma, un’idea, perciò necessita di mantenere una sua coerenza, una sua stabilità visiva. Ma l’uomo ha sempre percepito che il linguaggio pur se apparentemente fisso ed immutabile è un mondo aperto, infinito, ricco di significanti e significati. Questa è l’arte. Linguaggio aperto se pur apparentemente chiuso, in forme che devono essere rispettate per la loro appartenenza a corpi e dimensioni del reale. Abbiamo visto come l’arte nella storia si sia evoluta, sempre, per liberare se stessa, per uscire fuori da un “rappresentabile” stretto nella morsa del voler dialogare, attraverso le consuetudini di un linguaggio conosciuto. Abbiamo visto i primordi di linee e forme essenziali, sorte come radici di parole, non ancora capaci di attuare un processo discorsivo, successivamente moltiplicarsi, razionalizzarsi a formare prospettive di orizzonti nel Rinascimento, o unirsi e avvolgersi, per sviluppare le contorsioni delle pose nei corpi del Manierismo. Conosciamo la ridondanza, l’orpello, la prolissa eleganza del Barocco. Abbiamo tentato di sperimentare ogni forma di  comunicazione, ogni linea che ha generato, ha esplorato mondi per riconoscere e riconoscersi. Con Jean Bobon si inizia ad avvalorare l’analisi strutturale del linguaggio: la lingua non è altro che un insieme sistematico di “segni” che hanno un proprio valore d’uso in un certo momento e in una certa società. Del resto lo stesso filosofo Walter Benjamin, nel 1916, nel saggio “Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo”, affermava che …”L’essenza spirituale dell’uomo è la lingua stessa”… Quello che emerge è l’impossibilità di comunicare realmente senza l’espressione, trascendendo il condivisibile, persino gli archetipi che ci rendono partecipi di noi stessi e della collettività. Nel termine stesso dell’esprimere è implicita l’azione di esternare, manifestare all’esterno, rendere semplicemente visibile. Da questa prospettiva l’atto creativo diventa un procedimento che fonda le sue basi sull’appropriazione della propria interiorità, sulla conquista di un territorio inconscio che vive di una propria individuale libertà. Con la consapevolezza dell’importanza di un processo creativo di introspezione- proiezione, abbiamo visto come il Surrealismo abbia attuato il procedimento dell’automatismo psichico attraverso la scrittura automatica, per inoltrarsi nell’inconscio non veduto: “… La mano dell’artista vola libera attratta dal suo stesso movimento e nient’altro e descrive forme che affiorano arbitrariamente…”  (Andrè Breton). Dopo la suddivisione di Freud della psiche, Jung ne ricerca le fondamenta attraverso gli archetipi, come manifestazione dell’inconscio, ma l’esigenza di un artista è quella di agire in un campo più ampio, che oltrepassi il collettivo per arrivare all’individuale, inteso come primordio, genesi, creazione dell’originale, in una continua propensione al nuovo. Lo stesso Cézanne affermava: …“Io sono il primitivo della via che ho trovato”? Ogni creatore di nuove forme è, a modo suo, un “primitivo”… Molti artisti tra i quali Matisse, Picasso, Derain, Brancusi, Modigliani e Giacometti  hanno ricercato questo nuovo nella semplicità e purezza di forme istintive e talvolta selvagge, per attuare un cambiamento nell’arte e soprattutto per ritrovare il senso dell’individuo. Già nell’arte “Naifs” questa ricerca del primitivo ha dato luogo ad un flusso creativo all’insegna della spontaneità e dell’immediatezza, anche se questa primordialità non deve essere fraintesa, non deve essere introiettata come mera forma di esplorazione di mondi lontani e arcaici, bensì come esplorazione dell’intimità naturale e profonda dell’uomo. Quell’istinto grezzo e allo stesso tempo sublime che ha generato il “Sacro”. Forse ancora oggi quello che costituisce “lo scalino superiore” che porta l’arte e in genere la nostra capacità di espressione, al di sopra dell’umano, del nudo terreno dove interagiamo, per connetterci al divino. Si tratta di una sacralità schietta, evidente, impermeabile a qualsiasi forma di domanda o articolazione logica, culturale o religiosa. Si tratta di una comunicazione testimone di tutte le dicotomie della psiche, manifestate in maniera emergente, senza sovrastrutture che celino. Si tratta di tutto l’inconscio rivelato, accettato senza pudore, in una dimensione dove ancora non è nata la nozione di “profano”… Là dove tutto rivela il divino! La netta distinzione tra umano e divino appare nel corso della storia con la filosofia e la teologia. La mente primitiva come quella di un bambino trascende la distanza tra naturale e sovrannaturale, attenendosi alle sole leggi del comprensibile e dell’incomprensibile. Il primo testo di indagine sul disegno infantile apparve nel 1887 per mano dello studioso e scrittore Corrado Ricci, che ci riporta ad un mondo pre-razionale che si dissolve nella pura astrazione calligrafica del segno. Col crescere, attraverso l’evoluzione dei segni, che man mano costruiscono forme geometriche fino ad arrivare all’interezza del visibile,  scorgiamo noi stessi, nonché il fremito di un artista che non vuole fermarsi alle sembianze ottico visive, per andare oltre il mondo del comprensibile e veduto. Vediamo l’artista che vuole ritrovare quell’abbandono che toglie l’inibizione dei tempi. Si avverte qualcosa  ben oltre l’arcaico ed il primitivo: L’occhio puro che si antepone al primordio della creazione. Tutto ciò si può evincere nell’arte informale, dove il segno emerge, senza tempo, in una dimensione appunto pre formale. Vediamo per esempio, le opere di un artista come  Jean Dubuffet, che ha l’audacia di regredire al livello primitivo ed infantile della comunicazione visiva, in nome della libertà di immergersi nel punto iniziale: la scaturigine della creazione!

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